14 – Col dell’Orso

di Davide Pegoraro e Alessandro Bernardi

La posizione del Col dell’Orso è stata di capillare importanza per l’esercito italiano durante la Grande Guerra sul monte Grappa. Approdo essenziale per le truppe destinate ai combattimenti nella regione della sella del Valderoa, fungeva anche da importante testa di ponte per gli attacchi previsti nell’autunno dell’ultimo anno di guerra. I sottostanti monte Forcelletta ed il Col del Cuc si trovavano incuneati nelle linee italiane, ma dalla cima del monte era possibile controbattere, con l’artiglieria da montagna e tutti i calibri definiti da trincea, le azioni avversarie nella valle di Seren. Sul suo crinale si tennero combattimenti di alta intensità e ne danno testimonianza i tanti diari di guerra, oltre che i segni ben visibili di trincee, camminamenti e le tante opere in caverna realizzate dal genio militare. Fungeva inoltre con il monte Medata da bastione di sbarramento della Val delle Mure. Durante la fase finale della battaglia di Vittorio Veneto, sui suoi pendii, migliaia di alpini trovarono la morte in quello che viene ricordato come “l’ultimo sacrificio”.

Come in una scala senza pioli, diventa inutile tentare di salire, diventa folle tentare di fermarsi tra le voragini aperte dai grossi calibri che sparano da Santa Maria e Quero, diventa impossibile tentare di scendere e rinunciare; altre, ben più dolorose mitraglie ad attenderci. La pista di alpini che salgono il monte è tesa come una corda zuppa, ogni tanto un fascio si stacca con uno schiocco improvviso e chi resta sopperisce alla perdita, facendosi carico di fatiche impensabili. Il nome del luogo fa pensare al grande predatore che ci aspetta lassù; il padrone incontrastato del bosco ha ancora fame.

Come in una scala senza pioli, diventa inutile tentare di salire, diventa folle tentare di fermarsi tra le voragini aperte dai grossi calibri che sparano da Santa Maria e Quero, diventa impossibile tentare di scendere e rinunciare; altre, ben più dolorose mitraglie ad attenderci. 

La pista di alpini che salgono il monte è tesa come una corda zuppa, ogni tanto un fascio si stacca con uno schiocco improvviso e chi resta sopperisce alla perdita, facendosi carico di fatiche impensabili. Il nome del luogo fa pensare al grande predatore che ci aspetta lassù; il padrone incontrastato del bosco ha ancora fame.